Investire in obbligazioni: quali sono i rischi

 

Il mercato obbligazionario ha tradizionalmente rappresentato l’investimento preferito da parte delle famiglie italiane, soprattutto quando i titoli di stato garantivano una cedola sostanziosa e venivano considerati come privi di rischio.

Oggi lo scenario è radicalmente cambiato. I tassi di mercato sono scesi a livelli mai visti prima e con essi è scesa la remunerazione del rischio insito nel detenere obbligazioni. Anche la nozione di investimento privo di rischio è stata definitivamente accantonata dopo la crisi del debito sovrano del 2010-2011.

Gli investitori purtroppo negli ultimi anni hanno imparato sulla loro pelle che le obbligazioni sono lontane dall’essere l’investimento sicuro per eccellenza (vedi casi Parmalat, Argentina, Lehman, banche italiane).

In quanto segue ci proponiamo di illustrare  in modo semplice e comprensibile quali sono i rischi principali di un investimento obbligazionario.

RISCHIO DI TASSO D’ INTERESSE

Sgombriamo subito il campo da potenziali equivoci. Se compro un’obbligazione a tasso fisso che rende il 3%, sono sicuro che a scadenza, a meno di default dell’emittente, otterrò il 3%.

Questo vale se la tengo fino a scadenza. Ma cosa succede nel corso della vita dell’obbligazione? Il prezzo dell’obbligazione non è fisso ma può variare sulla base di determinati fattori.

Supponiamo che i tassi di mercato salgano e che obbligazioni assimilabili alla mia siano emesse ad un rendimento del 4%. Chi sarà interessato a comperare la mia obbligazione quando ne circolano di identiche ad un rendimento superiore? Nessuno. Perché la mia obbligazione diventi di nuovo appetibile il suo prezzo dovrà scendere fino a quando il prezzo di acquisto più basso, insieme alle cedole periodiche, non garantiranno ai potenziali nuovi acquirenti un rendimento del 4%, in linea con le nuove emissioni. Per me questo rappresenta un rischio perché se volessi vendere l’obbligazione prima della scadenza lo farei ad un prezzo più basso di quello di acquisto.

Ecco come nasce la relazione inversa tra rendimento e prezzo di un’obbligazione: quando i rendimenti salgono, i prezzi delle obbligazioni scendono, e viceversa.

Tutte le obbligazioni reagiscono nello stesso modo rispetto ad una determinata variazione dei tassi?  No. Per determinare la sensibilità del prezzo di una particolare obbligazione rispetto ad una variazione dei tassi si ricorre al concetto di durationQuesta dipende dalle caratteristiche specifiche del bond e misura la variazione percentuale del prezzo del titolo per una variazione dell’1% del rendimento (più precisamente si parla in questo caso di duration modificata). Se la duration modificata è 5, un aumento dei tassi dell’1% causerà una diminuzione del prezzo del titolo del 5%.

Attenzione: la duration modificata è solo un’approssimazione della sensibilità del prezzo del titolo rispetto ai tassi. In realtà, per ampie variazioni dei tassi (e l’1% è senz’altro un’enorme variazione nell’attuale contesto di mercato), il ribasso del prezzo del titolo causato da un aumento dei tassi è minore del rialzo che si avrebbe per una diminuzione dei tassi di pari misura. Tale proprietà viene detta convessità e verrà approfondita in una nota successiva.

La duration fornisce quindi una misura del rischio legato a variazioni dei rendimenti per un particolare bond: maggiore la duration, maggiore il rischio, e viceversa.

Il calcolo matematico della duration esula dagli obiettivi di questa nota (chi fosse interessato può trovare la formula qui e un calcolatore qui). Appare comunque opportuno evidenziare 3 aspetti generali:

  1. più lontana nel tempo è la scadenza dell’obbligazione, maggiore è la duration
  2. più basse le cedole dell’obbligazione, maggiore è la duration
  3. più bassi sono i rendimenti di mercato, maggiore è la duration

E’ quindi facile rilevare come in un contesto quale quello attuale (caratterizzato dai tassi più bassi di sempre, in cui le nuove obbligazioni vengono di conseguenza emesse con cedole molto basse e in cui, alla ricerca di migliori rendimenti, molti investitori comprano titoli con scadenze lunghe) la duration media delle obbligazioni si sia allungata a e con essa sia aumentata la rischiosità del comparto rispetto a variazioni dei tassi di interesse.

Per avere un’idea della sensibilità dei prezzi di mercato delle obbligazioni a variazioni dei rendimenti, possiamo considerare che i BTP a 5, 10 e 30 anni hanno in questo periodo una duration rispettivamente intorno a 4.8, 9 e 19. Dunque un BTP a 10 anni si muove del 9% per una variazione dei tassi dell’1% (come detto sopra si tratta di un’approssimazione; in realtà sale un po’ più del 9% per una diminuzione dei tassi e scende un po’ meno per un aumento dei tassi).

Per le obbligazioni a tasso variabile, l’impatto sui prezzi di variazioni dei rendimenti di mercato è estremamente limitato in quanto queste adeguano costantemente le loro cedole rispetto all’andamento dei tassi. Il rischio è limitato all’intervallo di tempo che intercorre fino alla cedola successiva.

RISCHIO DI CREDITO

Il rischio di credito misura il rischio che chi ha emesso il bond non sia in grado di ripagare le cedole o di restituire il capitale a scadenza. Si parla in questo caso di rischio di default dell’emittente.

Un investitore sarà disposto ad investire in un’obbligazione di un emittente con un alto rischio di default solo in presenza di un elevato premio in termini di rendimento rispetto ad un investimento a basso rischio.

Il premio che un investitore richiede rispetto ad un determinato benchmark di riferimento (ad esempio il rendimento dei titoli di stato tedeschi o il tasso swap) viene detto spread. Ipotizziamo che un investitore richieda uno spread di 150 bp sul rendimento del bund tedesco (supponiamo che questo sia 0.20%). In questo caso il rendimento del titolo sarebbe dato da 0.20%+1.50%= 1.70%.

Lo spread dipende dal merito di credito dell’emittente: è basso quando la probabilità di default è limitata mentre aumenta quando tale probabilità cresce. Vi è una relazione tra lo spread creditizio e il giudizio espresso sull’emittente da parte delle agenzie di rating, anche se l’operato di queste ha attirato su di sé giudizi talvolta molto critici soprattutto in occasione dell’ultima crisi finanziaria.

Lo spread di credito può variare nel corso della vita dell’obbligazione se la rischiosità percepita dell’emittente varia. Supponiamo ad esempio che la società emittente si indebiti per fare delle acquisizioni. Se questo è percepito come rischioso dal punto di vista della solidità finanziaria, lo spread richiesto dagli investitori si allargherà. Ad esempio, invece di 150bp, gli investitori potrebbero richiedere uno spread di 250 bp per remunerare il maggior rischio. In questo caso il rendimento richiesto passerebbe a 0.20%+2.50%=3.70%, con conseguente calo dei prezzi delle obbligazioni in circolazione.

Generalmente lo spread di credito aumenta con l’allungarsi della scadenza delle obbligazioni. Tecnicamente si dice che la curva del credito è inclinata positivamente. Questa tende ad invertirsi (gli spread sulle scadenze brevi sono maggiori di quelle lunghe) solo in casi di estrema difficoltà per l’emittente in cui cresce di molto la probabilità di default.

Esistono degli strumenti, detti credit default swap, che forniscono una misura immediata del rischio di credito di un determinato emittente. Nella loro forma standard, questi sono contratti a 5 anni in cui, a fronte del pagamento di un premio annuale, l’acquirente si assicura contro il default di un emittente. Naturalmente, il prezzo che si paga per assicurarsi cresce all’aumentare della rischiosità dell’emittente stesso. Ad esempio, per assicurarsi dal rischio di default dello stato italiano un investitore dovrà pagare l’1.8% annuo, mentre per la Germania, percepita come meno rischiosa, dovrà pagare solo lo 0.24%.

Movimenti dello spread creditizio impattano anche il prezzo delle obbligazioni a tasso variabile.

RISCHIO INFLAZIONE

Come detto sopra, quando si acquista un’obbligazione a tasso fisso si blocca un determinato rendimento che, a meno di default dell’emittente, si otterrà detenendo l’obbligazione fino a scadenza.

Un inaspettato aumento dell’inflazione nel corso della vita dell’obbligazione potrebbe però ridurre il valore reale delle cedole e del nominale che sarà restituito a scadenza.

Più che il rendimento nominale del titolo, cioè quello che fissiamo quando acquistiamo un’obbligazione e che otterremo detenendola fino a scadenza, ci interessa il rendimento reale, che rappresenta il rendimento nominale al netto dell’inflazione. Se compro un titolo che rende il 3% e l’inflazione è il 2%, il rendimento reale è l’1%. Un aumento dell’inflazione fa quindi diminuire il rendimento che realmente derivo dal detenere il titolo.

Per proteggersi dal rischio di inflazione esistono dei bond, detti inflation linked, che garantiscono un determinato rendimento reale.

RISCHIO LIQUIDITA’

Questo rischio attiene alla possibilità che un investitore, nel momento in cui voglia operare su un particolare titolo, possa trovare un mercato non abbastanza liquido da garantire un’esecuzione immediata dell’ordine a prezzi di mercato adeguati.

Il rischio liquidità aumenta tanto più l’emissione in questione è piccola e poco trattata mentre è generalmente assente (in condizioni di mercato normali) per i titoli di stato.

Dopo la grande crisi finanziaria del 2008/2009, le autorità che regolano il funzionamento dei mercati hanno imposto alle banche che svolgevano la funzione di market maker (che cioè quotavano prezzi in acquisto e in vendita a chi voleva operare sul mercato) dei requisiti di capitale e regolamentari più stringenti a fronte di questa attività.  Questo ha comportato un aumento dei costi del market making e  molte banche hanno preferito abbandonare o ridimensionare tale attività. Ne è risultata una riduzione generalizzata della liquidità (soprattutto nel settore dei corporate bonds) che ha reso i mercati fragili e volatili.

A nostro parere l’illiquidità rappresenta una fonte enorme, e spesso sottovalutata, di rischio sistemico.

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